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La paura

Racconto di Domenico Pescosolido

Cos’è la paura? È quella sensazione di impotenza che ci attanaglia davanti ad un evento che non possiamo governare ma che ineluttabilmente potrebbe strapparti la vita.

Questa era la sensazione che Gigetto Malasorte aveva quando accendeva la tv, ogni sera all’ora di cena, e ascoltava impotente i numeri che il responsabile della protezione civile andava snocciolando negli ultimi giorni. Numeri che annunciavano nuovi decessi e nuovi casi. Ma lui, Gigetto, non aveva proprio voglia di finire in quell’elenco anonimo e, a dispetto del suo cognome, aveva deciso di seguire il suo personalissimo protocollo di sicurezza messo a punto già nel lontano 1986, all’indomani della nube di Chernobyl.

Ora era pronto. I vicini lo avevano visto scaricare enormi quantità di beni di prima necessità non deperibili come ceci in scatola e carne secca molto prima che arrivasse il peggio.

– A Gigè ma che te prepari alla guerra? – lo prendevano in giro i vicini.

Ma loro non capivano, era esseri ignobili che non percepivano il pericolo e, molto probabilmente, non sarebbero sopravvissuti.

– Ma che t’he venuta la sciolta, Gigè? Che ce fai con tutta quella carta igienica?

– Prevenzione – era l’unica risposta che dava, e lo diceva con quel tono di chi la sa più lunga di te e ti fa sorgere quel dubbio che, in fondo in fondo quell’ometto tarchiato e burbero, possa aver ragione.

Ogni giorno l’eco di notizie lontane rimbombavano nelle televisioni senza che nessuno vi prestasse più attenzione del solito, cosa avrebbe dovuto accomunarci a quei paesi così lontani? Gigetto, invece studiava le mappe, le perturbazioni e segnava i giorni, al quinto piano di un fatiscente condominio dove viveva solo in appena trenta metri quadrati: quanto bastava per una brandina, un angolo cottura e un cesso ricavato in un incavo le cui finestre davano sulla tromba delle scali.

Aveva valutato che di lì a due mesi si sarebbe scatenato l’inferno, ormai ne sapeva più di qualunque esperto: aveva tradotto dall’indi persino alcuni documenti governativi di una regione sperduta del Pakistan dove due eremiti avevano approntato misure simili alle sue.

Con il passare dei giorni le notizie assunsero il tono di un moderato allarme, si cominciarono a registrare casi isolati, ma la vita scorreva placida e tranquilla come al solito. Gigetto invece decise di passare allo stadio successivo e attivò nella cantina, situata al piano interrato del suo palazzo, il generatore d’emergenza che gli garantiva, in quel bunker di cemento, l’autonomia di una lampadina per 365 giorni. Rinforzò la porta con una nuova in grado di reggere ad una contaminazione batteriologica e alle radiazioni nucleari fino ad una potenza di cinque bombe atomiche. L’ultimo stadio lo compì foderando le pareti di cemento con lastre d’acciaio in grado di reggere l’urto delle deflagrazioni atomiche.

– A Gigè ma che stai a fa laggiù? Nun te pare de esagerà un pochino?

– Prevenzione

Con il passere dei giorni quella parola, così secca e dura cominciò ad assumere i connotati della preoccupazione in chi se la sentiva ripetere.

Anche i ragazzini che lo prendevano in giro tutti i giorni da quando le scuole erano state chiuse, cominciavano ad avere una sinistra preoccupazione quando in modo serio e burbero Malasorte pronunciava quella parola:

– Aoh Gigè, però tu non me poi spaventà la creatura, falla un po’ finita co sta storia della prevenzione!! Ma che non la senti la televisione? Andrà tutto bene.

Gigetto, guardava la vecchia signora del secondo piano con l’aria di chi pensa:

Questa non ce l a farà, sarà sottoterra prima che finisca tutto.

Quando tutto fu pronto decise di acquistare le ultime cose recandosi al supermercato come già molte persone stavano facendo ma bardato con una tuta ad alto contenimento che avrebbe trattenuto anche le fiamme dell’inferno. Era quasi curioso vedere una composta fila di persone che aspettano il proprio turno per entrare nel supermarket, mentre lui era in pieno assetto da emergenza nucleo-batteriologica.

– Gigè, ma tu mica te poi presentà vestito così. Me spaventi tutti i clienti – gli disse la commessa del supermarket che lo conosceva da una vita.

Ma Gigetto disse, con la voce cavernosa che veniva da uno scafandro di classe 3 certificato dall’esercito degli Stati Uniti per la guerra chimica:

– P R E V E N Z I O N E

Quando infine tutti si barricarono in casa e l’attesa cominciò a diventare snervante lui si serrò la porta della cantina alle sue spalle e se ne rimase li sotto. Avrebbe deciso di rimanere lì per un periodo almeno doppio a quello previsto in queste situazioni.

Ognuno chiuso in casa attendeva l’inevitabile, giorno dopo giorno, ora dopo ora. E quelle parole di Gigetto rimbombavano nella testa di ognuno come un eco tetro nel muto palazzo.

Quel maledetto vecchiaccio aveva ragione!

 Le notizie si accavallarono, vere e false, buone e cattive; la gente sembrava impazzita e viveva reclusa in attesa di qualche cosa che non arrivava o che era già arrivata e che avrebbe potuto ucciderti nel peggiore dei modi possibile.

I mesi passarono e anche le stagioni, lentamente le persone si riappropriarono dei propri spazi. Dapprima lentamente, poi tumultuosamente: il peggio era passato. La paura, quella sensazione di impotenza e angoscia finalmente svaniva, la voglia di libertà pervase tutte le strade. Il nemico era vinto.

Gli inquilini del palazzo si ritrovarono tutti nella piazzetta di fronte al palazzo si baciarono, si abbracciarono, saltarono felici per una libertà ritrovata: la paura di non farcela lasciva il passo all’ottimismo per una nuova vita.

Qualcuno si accorse che mancava Gigetto.

– Sarà ancora la sotto, non avrà capito che è tutto finito

– Forse dovremo dirglielo

L’amministratore del palazzo decise che era il caso di andare a vedere che fine avesse fatto Gigetto. Bussò alla porta ma nessuno rispose, così chiamò a raccolta gli altri uomini del palazzo ma la porta era impossibile da forzare. Si decise di chiedere aiuto ai Vigili del Fuoco che arrivarono nel pomeriggio e si misero all’opera con fiamma ossidrica ma non furono in grado di forzare la porta. In tarda serata l’esercito prese l’estrema decisione: far saltare quel portone con una carica di dinamite.

BOOM!!

 Un nero fumo invase tutto il palazzo e tutte le finestre degli appartamenti andarono in frantumi ma la porta di Gigetto resistette. I suoi coinquilini cominciarono ad averne abbastanza e da più parti si sollevò un unica protesta:

– Lasciatelo li sotto quel vecchio pazzo, che rimanga li lui e la sua prevenzione.

Tuttavia le autorità esautorarono l’amministratore e si decise per la perforazione del soffitto attraverso l’androne del palazzo.

La mattina seguente, dopo un’intera notte di inutili tentativi, i genieri dell’esercito riuscirono a penetra nel bunker calandosi dal soffitto e trovarono Malasorte riverso sul pavimento ormai in stato di avanzata decomposizione.

L’autopsia rivelò che Malasorte era stato avvelenato da una partita avariata di zuppa di funghi nei primi giorni dell’emergenza.

Alle esequie partecipò tutto il palazzo. Il prete nella brevissima omelia non potè che compiangere il fratello per la cattiva sorte toccatogli.

F I N E